Nell'alto dei cieli: Fantôme e De Dolle

Mi viene istintivo spendere del tempo in ricerche, confronti e disquisizioni quando bevo birre complesse, articolate e magari poco usuali da trovare.
Questa stessa sensazione si è ripetuta qualche sera fa, quando tra una serie di birre ed una serata tra amici ho avuto la voglia di stappare finalmente qualche birra che conservavo da tempo.
Ci ho visto quasi una sfida, un confronto tra due birrifici tra i più rappresentativi di un Belgio tanto eclettico quanto sublime ed un po' imprevedibile, geniale quanto tradizionalista.

Di Dany Prignon ne avevo ribevuto poco tempo fa, complice una maggiore facilità nel reperire i prodotti della di Fantôme, non so per quale accordo commerciale con distributori. Bene così, si intenda.
Dopo averne trovato in ottimo stato ben quattro sue produzioni, viene da pensare che il dato statistico faccia impietosamente spazio ad una vicina cilecca, dati i trascorsi burrascosi che la qualità delle bottiglie di questo birrificio ha e data la fama che se ne è creata.
Devo però ripetermi e ribadire che l'impressione è che qualcosa sia cambiato. Questa Saison l'avevo già assaggiata due anni orsono e ci avevo sentito di tutto, sovrastato da un grande aroma di fragola derivante sicuramente dai lieviti.
In questa invece siamo su altri livelli. Appena vi avvicino il naso è sublime la combinazione di floreale (fiori d'arancio, fiori di pesco) e pepatino da luppoli, che a me ricordano quelle di birre come Hommelbier, XX Bitter ed altre blond quando trovate in ottime condizioni, ed il deja vu si palesa anche quando scorgo un leggero contributo aranciato. Incredibile è l'armonia che si avverte ai primi sorsi, che mi piace credere sia dovuta alla qualità dei malti: croccanti, puliti ma anche ricchi di sfumature di crosta di pane come di crostate alla frutta. Ci ritrovo le stesse sensazioni che l'olfatto suggerisce, arricchite da una seconda parte del sorso che è una montagna russa. Si sale sulle vette dei malti chiari ed improvvisamente si scende sfrecciando ancora vicino ai fiori bianchi, per poi attraversare rapidamente un chirurgico amaro luppolato che sfila secco e palpitante, mentre ti ritrovi di nuovo a passare dal via col sorso successivo, senza saperti spiegare come e perchè. Davvero un capolavoro, che di una saison ha molto poco, a dire il vero, avvicinandosi molto più ad una belgian ale di stampo classico. Questo non la esime dal doversi sorbire complimenti ed ovazioni, dato che senza dubbio mi è sembrata una delle migliori bevute del nuovo anno.



Grande sorpresa anche la Fantôme de Noël, natalizia bevuta fuori stagione. Inutile cercare qui informazioni su ricetta, spezie utilizzate, ispirazione ecc. Le chiacchiere devono arrendersi alla sola percezione organolettica, accontentandosi della povera etichetta da dove si apprende solo dei 10%alc. Complesso il naso, dove salgono subito aromi di spezie come protagonisti. Ci riconosco qualche pepe (grani del paradiso e pepe lungo) i quali conferiscono nette fragranze di alloro. In bocca le carezze continuano ed è spaventosa la secchezza che si raggiunge. Qualche malto speciale fa il resto e contiene la pericolosa facilità di questa birra, che incarna meravigliosamente i crismi delle natalizie del Belgio e li unisce al meglio delle potenzialità di Fantôme. Solo meritatissimi applausi!


Da un maestro si passa ad un altro. Le sue birre sono sicuramente più diffuse in Italia, su quasi tutto il territorio, ma questo non ne ha mai fatto scendere l'aura divina. Le birre di De Dolle riservano spesso vere emozioni, con episodi spiacevoli meno frequenti di quelli che fino a poco fa capitavano con Fantome, seppur possibili.
Una delle birre, che non solo non mi ha mai deluso ma che mi ha sempre soddisfatto, è la Oerbier. Dalla prima volta a quando l'ho bevuta in Belgio con uno stupendo coniglio alle prugne, da quella stappata al beer shop dietro casa a quella bevuta la scorsa serata, le impressioni di frutti di bosco che risalgono le narici mentre affondo le labbra per le prime grandi boccate sono di quelle che ti prendono il cuore, lo stesso che campeggia nel logo del birrificio accanto al simpatico omino giallo. Quella gasatura vivace si nasconde dietro una schiuma molto compatta ed esalta le componenti aromatiche più delicate, e la bevibilità decolla nonostante i 9%alc., sulla carta non facili.
Dai belgi come lui, come Prignon ed altri abbiamo ormai imparato a non prendere alla lettera la qualsiasi versione fornita sule peculiarità delle loro birre, a volte appositamente sviante per preservare per sè certi dettagli tecnici e produttivi in questa era birraria in cui tutti vogliono sapere tutto.
La storia del lievito, per chi non la conoscesse, è avvincente e vi si inserisce una lettera dello stesso De Dolle sul noto forum americano BBB, che qui è presente in italiano, che parla del lievito originariamente prelevato da Rodenbach e poi recuperato attraverso fusti con ancora dei residui (sarà tutto vero?).


Non bastava a Kris Herteleer aver estrapolato dal suo genio questa creatura, perfettamente ancorata alla tradizione ma per nulla affogata nella massa di prodotti dall'elevato residuo zuccherino.
L'upgrade per pochi è la Oerbier Reserva (2007), brassata con cadenza annuale e lanciata dopo 18 mesi di maturazione in botti di Bordeaux. La nobiltà di questo vino, l'ossidazione derivante dalle botti ed il ceppo di lievito contenente batteri lattici che Herteleer pare abbia utilizzato, danno vita ad una birra regale da ben 13%alc.
Sta di fatto che si tratta di una perla assoluta, dove tra gli aromi di cuoio, lattico e vinoso si inseriscono amarene e marasche, in una maniera più gentile ed elegante rispetto a qualche intensa e spigolosa red flemish ale, di cui può essere parente solo lontana. Dura raccontarla, persino le menti più argute ed attente ai particolari si fanno trasportare dall'enfasi dei sensi, a cui la ragione cede senza poter porre resistenza. Insomma, mi conforta non essere l'unico ad aver avuto questo impatto.


Complicato è affiancare a due a due queste birre, sono tutte diverse tra loro.
Ma il filo rosso che le lega è quello di essere state partorire da puri geni.

Parliamo di vette birrarie ineguagliate e forse ineguagliabili, a loro volta punte di diamante delle rispettive produzioni.
Due birrai da porre nell'olimpo belga e mondiale, a cui ne affiancherei solo un altro paio (Jef Van de Steen di De Glazen Toren e Nino Bacelle di De Ranke), capaci di proporre birre di fronte alle quali il piacere di bere fa dimenticare tutto il resto, comprese le mie stesse chiacchiere ed un circo birrario moderno che questi livelli, nel migliore dei casi, li sfiora appena.

Dovessi scegliere, tra le due birre base sceglierei la Saison di quella sera solo, se la qualità diventasse una costante (altrimenti Oerbier tutta la vita), mentre tra le due "top di gamma", la Oerbier Reserva è quella che lascia semplicemente senza parole.
Il dio Herteleer, dunque, la spunterebbe ma per un'incollatura.

Cheers!

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