Il piccolo birrificio Old476 di Galatina e le sue birre

Gli aggiornamenti si fanno meno frequenti, ma le birre bevute mai.
Ci sarebbero un sacco di cose di cui parlare, ma da qualcosa bisogna ripartire.
Ed allora lo faccio tuffandomi ancora nella scena locale, quella che a volte è più immediata da conoscere, ma neanche tanto, considerando il numero di birrifici che sale senza sosta nel corso dei mesi e la loro difficile reperibilità proprio a causa delle recenti aperture e di un mercato ancora da invadere.
Tra uno spostamento di lavoro e l'altro ho avuto modo di fermarmi in quel di Galatina (LE) e conoscere uno dei micro più piccoli della regione.

L'impianto di Old476, capace di produrre 250 litri a cotta, si trova nel centro della cittadina salentina, all'inizio di una strada statale il cui nome (SS 476 appunto) campeggia su una pietra miliare proprio dirimpetto al locale di produzione.


Le birre prodotte dal birraio Antonio De Giorgi sono tre, con una quarta in fase di lavorazione.
Non c'è una filosofia precisa alle spalle di questo trio d'esordio, c'è piuttosto la voglia di Antonio di produrre birre secondo il proprio gusto, come spesso decide chi produce birre.


La prima birra che ho assaggiato è la Katenina, una strong ale di matrice britannica da 6%alc.
La stappo dalla bottiglia da 75cl, unico formato disponibile per tutte. Al naso arriva qualche indizio di caramello, accompagnato da sbuffi di fenolico che fortunatamente col tempo svaniscono.
A far compagnia a queste sensazioni si intravede delle frutta matura e del dattero.
In bocca ancora caramello, ma l'intensità risulta davvero bassa. In sostanza il sapore di malto che ci si aspetta è relegato in un angolo, pur avvertendosi leggermente ma non quanto ci si aspetta. Non c'è contrappeso luppolato, sicuramente per scelta stilistica, anche se ciò enfatizza ulteriormente il non-ruolo dei malti in questa birra.
La bevuta risulta molto piacevole, di contro, non appesantita e snella. Sono sicuro che con qualche piccolo aggiustamento è una birra che potrà esprimere meglio il suo potenziale.


Altra creazione è la Zeit, weisse da 4,8%. C'è da aspettarsi il classico binomio banana-chiodi di garofano, ma qui si va oltre. Per fortuna non si riduce tutto a questo, anzi. La banana è appena accennata, senza sfumature di frutta matura, mentre il fenolico del chiodo di garofano si stenta a trovarlo. In compenso c'è una fresca e bella sfumatura erbacea, a tratti citrica e davvero sfiziosa.
Solare questo olfatto così come lo è il gusto, con una vena citrica acidula che spezza subito il predominio del malto d'orzo ed alleggerisce tutti i sorsi a venire. Snella e solare, che a tratti mi ha ricordato la Tap 11 Mein Leichte Weisse di Schneider Weisse, così leggera e spiccatamente estiva nel carattere. Un bel modo di interpretare questo stile senza scadere in banalità e noia.


Terza ed ultima birra della gamma è la Petra Viva, belgian dark strong ale di 8,5%alc., dichiaratamente ispirata alle belghe natalizie. Mi aspettavo il classico dolcione assemblato alla meglio, invece si sente tutta l'intenzione di onorare questa tipologia produttiva, anche grazie alle spezie.
Al naso il mix speziato è davvero accattivante, lasciando immaginare la presenza di diverse varietà di pepe. Le uniche spezie presenti sono pepe rosa e cardamomo, ma sembra quasi di avvertire anche una spruzzata di coriandolo, cacao in polvere e suggestioni di mela cotta. Sorprendente l'equilibrio in bocca tra sostanza maltata e secchezza, tra cui si muovono elegantemente mela caramellata, uvetta passita, castagna e the. Il corpo c'è il giusto, poi lascia tutto lo spazio alla scorrevolezza, aiutata da una carbonazione docile e soffice che non distoglie l'attenzione. La si potrebbe accostare ad una quadrupel trappista senza grossi problemi, in qualche confronto potrebbe addirittura uscirne fuori vincente. La Petra viva mi è sembrata una natalizia di tutto rispetto, con spezie dosate bene ed oculatamente. Mi ha sorpreso.


Sono esperienze che è difficile incastrare in un contesto, quello di noi appassionati bevitori di birre di qualità, legato molto ai nomi che diventano noti e poi quasi intoccabili ed alle novità deludenti che vengono bruciate e che faticano a trovare qualità, spazio e mercato.
A volte ci sono anche birrifici recenti, come Old476, che a meno di un anno di vita e di poche centinaia di ettolitri alle spalle, già realizza prodotti di tutto rispetto e dal piccolo della propria produzione pensa semplicemente a fare birra buona nella maniera più semplice possibile.


Tornare a tuffarsi nelle scene locali, perciò, è un altro dei principi che dovremmo scoprire e riscoprire, tenendo sempre le orecchie tese verso quei sibili di qualità che potrebbero diventare voci tonanti e autorevoli.

Cheers!

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