Conoscere uno stile: saison

Volevo da un po' raccogliere idee ed interpretazioni su uno dei più interessanti e controversi stili, le saison, senza la ormai solita ragnatela di luoghi comuni con cui si prova a descriverle, ma partendo da qualche fonte e successivamente cercando di abbozzare un loro schema evolutivo.
Che non sia un vero stile è un dato di fatto, dato che l'approccio belga ne ha sempre fatto un calderone più che un preciso identikit di quello che si era soliti bere. Ma ciò non può privarci della possibilità di riunirne i punti distintivi e comprendere quello che erano, sono state e stanno diventando.


STORIA

Yvan De Baets, storico conoscitore dello stile prima di diventare founder di De La Senne, nel libro Farmhouse Ales e in varie interviste riassume i loro trascorsi così:
"Si possono individuare due periodi principali nella produzione di saison in Belgio: pre-1920 (diciamo anche IXX secolo e ancora prima) e post-1920.
Nel IXX secolo e nei tempi precedenti, le saison erano di bassa gradazione alcolica (tra 2,5% e 4,5%) ed erano acide, o “amaro-acide”, essendo sempre “infettate”, solitamente con effetti positivi, da batteri e lieviti selvaggi, dovuti ai rustici metodi di produzione birraria dei contadini. Erano pesantemente luppolate per “tenere sotto controllo” il livello di infezione. Si poteva trattare di una birra singola, prodotta in inverno e lasciata maturare fino all’estate - o in alcuni casi lasciata invecchiare anche per più di un anno prima del consumo – ma nella maggior parte dei casi era una miscela di birra giovane (prodotta tra novembre e marzo) e una birra acida invecchiata. La birra acida era spesso prodotta nella birreria stessa, ma alcuni birrai acquistavano le migliori birre acide, ovvero i lambic, e le miscelavano con la propria ale.Dopo la Prima Guerra Mondiale, i birrai del Belgio assorbirono tecniche di produzione più evolute, che li mettevano in grado di controllare meglio i problemi di infezione. Inoltre cominciarono a usare sempre di più i lieviti da coltura: per questo il gusto si fece più pulito. Furono prodotte birre più forti (ma pur sempre al di sotto del 6,5% alc parlando di saison) per competere con le birre importate dall’estero (da UK e Baviera) che a quel tempo stavano avendo sempre maggior successo. Il loro successo era dovuto appunto a tecniche di produzione più moderne che permettevano una migliore evoluzione, costanza del prodotto, e una “concentrazione” maggiore. L’idea dei birrai belgi allora fu quella di offrire al mercato birre di maggiore struttura per dimostrare la “qualità” delle loro produzioni. La Saison Dupont è un esempio di queste saison del secondo periodo. 
Un tempo le saison erano birre a gradazione piuttosto bassa, ora esistono esemplari ben più alcolici, ma non andrei sicuramente al di sopra del 7% alc. Dico 7% perchè non scarterei a priori come saison una birra che avesse il 6,8%... ma preferirei che fossero intorno al 5%."

Ecco: partendo da questa schematizzazione, andrei ancora oltre e proverei a descrivere anche come sta evolvendo attualmente il modo di produrre ed interpretare birre che si ispirano a questo stile.

OLD SAISON

La fase primordiale, dunque, è quella che si fa risalire al periodo "pre-1920", e che potremmo chiamare in questo modo o ancor meglio con l'etichetta vieille saison, che non è un artificio bensì proprio la denominazione con cui si indicavano talvolta queste birre.
La filosofia alla base di queste produzioni non si può riassumere tanto guardando gli ingredienti, invece ci si spiega meglio se si guarda all'approccio. I cardini di queste birre erano quelli di avere:

  • non eccessiva carbonazione;
  • presenza di infezione lattica ed acetica con sviluppo nel tempo di un carattere vinoso;
  • presenza di amaro pronunciato con smorzamento nel tempo;
  • alta attenuazione;
  • basso grado alcolico;
  • secchezza ed astringenza;
  • fruttati non predominanti.

A questo dobbiamo sommare una impossibile continuità di cotta in cotta. Si trattava di vere farmhouse ale: innanzitutto perchè partorite in quelle unità sociali e produttive che erano le fattorie di un tempo, e poi perchè birre create da ciò di cui si disponeva in determinati giorni e che si trovava realmente attorno a sè, che fosse possibile da realizzare solo con un approccio produttivo personalistico e personale, poco orientato alla vendita ed alla riproducibilità del prodotto. Lo sfruttamento dello scarto delle lavorazioni agricole implicava gli antipodi di una realizzazione che mirasse alla perfezione, e ne è testimone la presenza di infezioni concessa alle birre.
Ne consegue che tra tutto quello che ci doveva essere in queste saison, tutto era possibile e nulla fosse obbligatorio, con un approccio open mind slegato da aspettative.
Concetti che sarebbero arrivati solo dopo, con quell'avanzata dell'industria che ne avrebbe influenzato e turbato il carattere.


MODERN SAISON

Le saison attuali, quelle che hanno cominciato dopo il 1920 a svilupparsi, hanno via via perso un carattere lattico fino a rifinirsi e definirsi diversamente con questi fattori chiave:

  • alta carbonazione;
  • presenza di toni fruttati (albicocca, bubblegum, banana), speziati (pepe), fenolici (chiodi di garofano), moderatamente luppolati (terrosa);
  • presenza facoltativa o marginale di batteri lattici;
  • presenza di caratteri rustici dati da altri cereali;
  • alta attenuazione;
  • alto grado alcolico;
  • secchezza ed astringenza;
  • aggiunta di spezie in basse quantità a completamento dell'azione del lievito.

Nonostante la spinta evolutiva sia arrivata dalla competizione con l'industria, la poesia è rimasta e ne è venuto fuori un differente prodotto. Quella poesia, in parte tramandata con colture di lieviti che conservano ancora qualche caratteristica rustica, si è tramandata e diversamente rinforzata cercando ancora quella rusticità nelle materie prime, mantenendo quell'approccio "open mind" e rendendolo più definito, seppur sempre aleatorio. È proprio il lievito ad essersi impossessato della scena, conferendo un ampio spettro di aromi ma sempre supportato da quei cereali anche non convenzionali (farro, avena, frumento, segale) e dai luppoli del Poperinge che in questo stile vedono forse il loro massimo impiego, conferendo toni terrosi e floreali che, uniti alla bacchetta magica del lievito, costruiscono gemme. L'aspetto rurale è scomparso nel tempo, dato che moltissime di quelle farmhouse non esistono o comunque non producono birre: la produzione si è spostata in birrifici, qualcuno più evoluto, qualcuno meno, forse per conservare proprio questa ruralità e custodirla anche nel gusto (si pensi alla Brasserie a Vapoeur ed alla sua Saison de Pipaix). Ciò che hanno fatto le saison, evolvendosi, non è accaduto per le bière de garde, rimaste schiave dei pochi produttori diventati dominio dell'industria e relegando questa tipologia ai bassifondi della storia.
Forse per questo si fa quell'errore di far coincidere quel farmhouse con saison, nonostante farmhouse siano anche le lager prodotte in Franconia e le meno note birre dell'area scandinava e baltica.
Ci sarebbe poi tutto un mondo nel mondo, con le varie declinazioni stagionali di saison: una versione estiva leggere, una invernale più corroborante ed altre intermedie con erbe tipiche del periodo. Filosofia che si incarna in tanti esempi: anche molte birre belghe natalizie sono definibili saison, come la Avec Les Bons Voeux di Dupont, ma eclatante è la serie di Fantôme con la serie Printemps, Etè, Automne, Hiver, dove l'aspetto rustico e funky è presente ma non predominante.


POST-MODERN SAISON

Oggi dire saison è ancor di più dire tutto e dire niente.
Se nei primi anni del movimento birrario internazionale bastava aggiungere una qualsiasi spezia, frutta o impiegare un lievito bizzarro per potersi collocare con poche obiezioni su questo scaffale, è pur vero che confrontando sempre più gli esempi belgi degli ultimi decenni ci si è resi conto che non si poteva abusare di questo termine giustificando la cotta bizzarra qualunque.
Ha preso sempre più piede - come in tutti gli stili - la luppolatura più evidente e non convenzionale: la ricerca dei luppoli fruttati e floreali più gentili si è riuscito a rifinire le spigolature aromatiche, accoppiandole con una base di malti sempre un tantino rustica ed una birre molto ben attenuate, tirando quindi fuori prodotti irresistibili (penso alle saison di De La Senne, Stillwater, Extraomnes), aggiungendoci la speziatura atipica quando sensato.
Qualcuno nota che questo concetto riprende, più che le saison tout court, le sorelle minori grisette, in voga sempre in quel periodo pre-1920, connotate da una luppolatura più frescheggiante, più che da una acidità controllata e da presenza di altri cereali.


FARMHOUSE

Negli ultimi tempi, invece, è sempre più frequente trovare l'appellativo di farmhouse. Termine che sembra quindi aver preso in esclusiva il ramo storico delle saison, ma su cui avrei diversi dubbi a livello proprio semantico.
Quello che succede oggi, infatti, è quello di riprendere quel vecchio cocktail di sapori che dovevano essere le antiche saison. Come in tutti gli antichi stili, però, è difficile affermare con certezza come fossero queste birre se non da descrizioni. Ma anche perchè le tecniche sono decisamente cambiate. Per non parlare, poi, della constatazione che in passato quasi tutti gli stili avevano la presenza più o meno tangibile di lieviti selvaggi, batteri acetici e lattici che ne condizionavano involontariamente il gusto.

Quello che si fa, quindi, è concedere la presenza di quei batteri lattici e lieviti selvaggi a volte cercando di replicare quelle tecniche di passaggio in botti, a volte inoculando appositamente questi organismi nel tino di filtrazione.
È un atteggiamento, dico la verità, che mi divide.
Da un lato è molto interessante rispolverare e reinterpretare uno stile del passato cercando di resuscitarlo e magari dargli una nuova linfa. Questo è successo con le saison per opera degli americani, che trascinati dal già citato libro di Phil Markowski, Farmhouse Ales, hanno cominciato a produrre queste birre: erano chiamate qualche anno fa proprio american saison che secondo me è il nome migliore e più coerente.
Non concepisco un paio di cose, però.
Non comprendo come si possano fare su larga scala da grosse birrifici ed essere definite farmhouse ale da essi o - peggio ancora - dagli ignari consumatori che dimenticano che l'accezione del termine. Non mi sta bene che sia un termine di moda ma che nessuno ci faccia caso, soprattutto sottolineando che parole come sour ale e wild ale spesso si interscambino indifferentemente con farmhouse ale in base al posto vacante più appetibile, o forse in base alle stagioni o agli umori degli uffici marketing dei birrifici.
Non mi sta bene, perciò, che si salti sopra questo ennesimo carro per interpretare un fantomatico ruolo di archeologo birraria.


Secondo me la questione si risolve facilmente: penso non si debba chiamarla col termine farmhouse e che si possa parlare di saison solo in caso di leggera presenza di batteri lattici e lieviti selvaggi (penso alle meravigliose birre di Fantome, per esempio); invece in casi di forte carattere lattico non possiamo piazzargli il nome saison nascondendoci dietro al fatto che prima erano così (anche perchè, come detto, in passato tutte le birre erano così...). Sarebbe più sensato, come in tutta quella casistica delle birre ispirate a stili classici ma molto più luppolata, anteporre un esplicativo "wild","sour" o ancor meglio "american" a saison per evidenziare questo carattere.
L'operazione di chiamarle farmhouse, invece, la vedo bene solo e soltanto in caso di birrifici piccolissimi e dalla vocazione agricola, oppure nel caso di produzioni in ambito homebrewing dove davvero ogni cotta è diversa dall'altra, si esprime una sorta di terroir e si decide al momento cosa mettere in pentola.
Definire, invece, farmhouse una birra è l'equivalente di chiamare "una luppolata" una APA oppure "una bassa fermentazione" una non meglio indentificata Helles.
Basti pensare che farmhouse è anche una kamiskas baltica, ma farmhouse (beer) è anche una keller della Franconia, una zoigl dell'Alto Palatinato.
Lo vedo come un errore, magari solo una metonimia con cui si sostituisce un termine specifico con uno generico, ma pur sempre un'imprecisione. Lo dice anche la guida agli stili del BJCP 2015, quella aggiornata, che avrà pure le sue imprecisioni ma tra le spiegazioni dei singoli stili di certo non la manda a dire. Nello specifico, riguardo allo stile saison riporta "often called Farmhouse Ales in the US, but this term is not common in Europe where they are simply part of a larger grouping of artisanal ales"; ed ancora "Brettanomyces is not typical for this style; saison with Brett should be entered int the American wild ale category".


BENCHMARK
Il riferimento quando si parla di saison, a mio parere, deve ancora restare quello che è sempre stato negli ultimi anni. E non è un atteggiamento da talebano, no, ma è a tutela di una delle tipologie di birra che stavano per scomparire nei meandri delle campagne belghe ed invece hanno finito paradossalmente quasi per annoiare il geekismo vittima dell'etichetta.
Possiamo parlare della Saison de Cazeau e dell'aroma di fiori di sambuco, fiori bianchi e camomilla che ne viene fuori, oltre che della rustica nota maltata unita ad un amaro erbaceo lungo.
Per non parlare dei capolavori quali quelli di Dupont, della classica ed iconica Saison di casa come di quella Saison Biologique, dove l'impatto rustico di cereale è molto evidente ed appagante e si chiude con una secchezza magica.
Mi è capitato di bere ottime saison che tentno di rievocare quella vecchia maniera, ma non le definirei saison nè farmhouse (seppur per ragioni diverse, come detto), poichè credo sia lo stesso suggerimento del produttore a mandare fuori strada e non permettere di definirle con caratteristiche e conseguente nome appropriato.


Non posso definire saison una birra come la Brillant di Brekeriet, dove la fermentazione con Brettanomiceti è quella principale, con aromi di fenolico totalizzanti su di una birra che comunque conserva una discreta secchezza, necessaria però non sufficiente a farla apparire ciò che non è. E non sono di certo io a dire che le classificazioni che fa Ratebeer non hanno senso in molti di questi casi.
Stessa cosa si può dire della seppur fantastica Surette di Crooked Stave, dove le note fruttate esotiche sono talmente spinte ed in rilievo da far dimenticare le interpretazioni più sensate della famiglia saison (non lo dico solamente io): Non capisco perchè non si chiamino più facilmente sour ale. Forse ci siamo dimenticati che questo termine generico sintetizza più che bene quel modernismo che cerca di incontrare il mondo spontaneo.
Qualcosa di più sobrio esce da Praire, con la Standard che almeno non viene definita saison ma genericamente farmhouse ale con l'hoppy davanti. Sapendo cosa aspettarmi, trovo concrete affinità con la categoria, anche se paradossalmente qui di carattere funky non se ne sente molto e forse era una di quelle che il termine saison poteva metterselo sul petto più di altre.


Insomma...se parlo di saison io continuo a riferirmi ai recenti classici belgi o ad interpretazioni che hanno queste come stella polare, sempre scrutando qualche interpretazione più audace ma non scambiandoli per nuovo paradigma.
Questo non toglie che nei prossimi tempi, se l'uso dovesse radicarsi a lungo andare ancor di più a livello planetario (vedi il caso delle American IPA di qualche tempo fa, ora chiamate IPA e basta senza più riferirsi alle progenitrici inglesi), ci si possa riferire al termine intendendo scontata una forte presenza lattica con tutto il corredo modernista.
La mia non vuole essere una critica fittizia su un termine, ma è un invito a valutare più attentamente quello che si beve senza inciampare in inesattezze più o meno volute che possano farci apparire un prodotto più appetibile di un altro con il solo uso personalistico dei termini. Potremmo chiamare una bellissima birra come la Cellar Door di Stillwater con un american farmhouse ale, lo accetterei perchè nonostante la genericità la si definisce comunque di stampo statunitense, anche american saison o american wild ci sarebbe stato, meno sour ale ed ancor meno puramente saison.
Gli stili sono in movimento, ok, ma finchè il cambiamento non diviene realtà consolidata, non credo sia il caso di cedere a chi meglio sa giocare con le parole.
Forse un giorno parleremo di "saison post-2016", ma personalmente spero questo giorno arrivi il più tardi possibile: mi sentirei di aver perso un'eredità linguistica e semantica enorme, una delle poche ombre romantiche che questo mondo ancora sa donare a chi vuole apprezzarle.

Cheers!

Commenti